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Intervista al Primo Ministro della Repubblica di Polonia Mateusz Morawiecki per la Stampa

08.12.2020

A due giorni dal vertice Ue il premier polacco ribadisce la contrarietà a legare l'erogazione di fondi europei al rispetto dello stato di diritto Morawiecki: " Bruxelles vuol colpire la Polonia ma non può imporci la sua idea di democrazia"

il premier polacco

Mateusz Morawiecki ha i riflettori di tutta Europa puntati addosso da quando - insieme all’alleato ungherese Viktor Orban - ha imposto il veto al budget Ue (1800 miliardi di euro comprensivi dei 750 miliardi per il Recovery Fund), bloccando anche l’erogazione dei fondi per far fronte alla pandemia. (Alla Polonia  Fra due giorni i leader dei Ventisette incroceranno le differenti posizioni e il premier polacco, pur invocando «solidarietà reciproca» e ricordando ai leader Ue che «la pandemia è la peggiore crisi dalla Seconda guerra mondiale», non sembra disposto a ripensamenti a meno che la questione del rispetto dello stato di diritto non venga sganciata dall’erogazione dei fondi per i singoli stati. Una posizione che il premier ieri ha condiviso durante una videoconferenza con Orban con il quale nelle ultime due settimane aveva avuto già due incontri serviti per cementare il legame. Morawiecki, alla guida del governo conservatore polacco dal dicembre del 2017, ha risposto per iscritto alle  domande de «La Stampa».

 

Primo ministro, ritiene possibile un’intesa al vertice Ue?

«L’entrata in vigore del quadro finanziario dell’Ue approvato a luglio insieme al Recovery Fund è di primaria importanza. E i nostri cittadini si aspettano risposte urgenti e proporzionate alla pandemia e alla conseguente crisi. Nella Ue ci sono spesso controversie o posizioni divergenti, eppure abbiamo meccanismi che hanno sempre permesso di raggiungere accordi. Confido che saremo in grado a breve di trovare soluzioni che rispettino la lettera e lo spirito dei trattati».

 

Le posizioni fra i Ventisette restano ancora molto distanti. Perché questo divario? E cosa teme?

«La minaccia di sanzioni finanziarie relative al non rispetto dello stato di diritto continua a essere utilizzata come strumento dei negoziati sui fondi, nonostante che a luglio fossimo arrivati a un accordo sulla forma e l’importo sia del quadro finanziario che del fondo di ricostruzione. Temo che la questione del meccanismo dello stato di diritto, dietro a cui si nascondono decisioni politiche arbitrarie, possa portare ad animosità tra gli Stati, mettere in discussione la fiducia reciproca e disturbare le relazioni tra i partner.

 

Si riferisce ai cosiddetti Paesi Frugali?

«Vale la pena domandarsi se per caso non ci siano alcuni Paesi che non hanno interesse che il Recovery Fund inizi davvero a funzionare e cercano un pretesto per silurarlo. Sono coloro che vogliono contribuire il meno possibile al bilancio comune, pur godendo maggiormente del mercato unico».

 

Lei e Orban avete un legame molto forte, ma dall’altra parte vi sono 25 Paesi pronti a individuare altre soluzioni per aggirare il vostro veto. Non teme che la vostra posizione possa indebolire l’Ue?

«Il meccanismo legale attualmente proposto lascia ampi spazi a pressioni sulle questioni di politica interna dei paesi membri. Sottolineo: politica interna. Oggi questo meccanismo arbitrario, motivato politicamente, è diretto contro Polonia o Ungheria. Ma che garanzia abbiamo che domani non venga diretto contro l’Italia o un altro paese che si oppone alla volontà politica delle istituzioni di Bruxelles? I trattati rispettano e tutelano la sovranità, mentre il nuovo meccanismo costituisce la sua violazione e una sua importante limitazione. Ecco perché tutto ciò porta a un veto, ma non all’indebolimento dell’Ue. Questa anzi è una valvola di sicurezza indispensabile per l’esistenza dell’Unione».

 

L’accordo in luglio sul Recovery Fund era stato raggiunto difficilmente. Perché ora la divisione?

«Ė vero, a luglio abbiamo raggiunto un accordo sul quadro finanziario e sul Recovery Fund. E’ stato un successo della nostra solidarietà e del senso di responsabilità. Ma in autunno questo trionfo è stato messo in discussione. Il modo in cui la condizionalità di bilancio rispetto allo stato di diritto deve essere inclusa nel regolamento non solo solleva serie preoccupazioni giuridiche, ma mina i principi di fiducia e leale cooperazione tra gli Stati membri e le istituzioni dell'Unione. L’attuale misura aggira i Trattati e crea una profonda incertezza giuridica. E poi oggi la Ue vive una situazione paradossale».

 

Quale?

«Nonostante la continua enfasi sull’importanza delle diversità, la Ue non riesce ad accettare le differenze dei sistemi legali e costituzionali radicati nelle tradizioni dei diversi Paesi. La comunità è costituita da diversi modelli di democrazia, perché le nazioni europee sono diverse l’una dall’altra. Ed è questa diversità a essere una risorsa per l’Europa, non una maledizione».

 

Cosa chiede ai partner Ue?

«Parità di trattamento e rispetto dei Trattati. L’Unione non può mettere in discussione le regole o modificarle su richiesta di alcuni Stati. La legge sulla tutela degli interessi di bilancio dell’Ue è secondaria rispetto al Trattato sull’Unione europea, quindi non può aggirare, sostituire o modificare le norme stabilite nel Trattato».

 

Signor Primo ministro, non crede però che la risposta al Covid debba richiedere sforzi da parte di tutti, anche straordinari?

«Una crisi come questa accade una volta ogni cento anni. Già oggi – benché non conosciamo ancora tutti i danni causati dalla pandemia – vediamo interi settori dell’economia piegati, famiglie devastate dalla perdita dei loro cari. E anche se all’orizzonte si profila il vaccino, i nostri problemi non finiranno presto. Dipende dalla Ue, dallo sforzo comune e dall’efficienza degli Stati se gli europei ritroveranno la fiducia nel futuro».

 

Sembra che sia il suo Paese – insieme all’Ungheria – a minacciare oggi quello sforzo comune di cui parla…

«In questo momento cruciale serve solidarietà reciproca, invece all’interno dell’Ue vediamo uno spirito di divisione. Come se l’enorme sforzo che sta alla base del Recovery Fund dovesse essere spazzato via da quella che è sempre stata la debolezza del nostro continente: la litigiosità e la ricerca di ciò che divide anziché di ciò che unisce».

 

Perché la Polonia e l’Ungheria sono spaventate dal richiamo alla rule of law come condizione per l’erogazione dei fondi?

«La questione è più ampia. Il meccanismo elaborato apre la porta a interpretazioni pericolose, dà grande potere e discrezionalità a entità prive di legittimità democratica o quantomeno a soggetti con un significativo “deficit democratico” rispetto ai parlamenti nazionali. E questa è una minaccia per ogni Stato membro e, in futuro, per tutta l’Unione. Chi pensa di esserne immune non si rende conto di quanta libertà permetta questo meccanismo».

 

Ritiene quindi troppo esteso il potere della Commissione?

«Quello che sostengo è che non è difficile immaginare una situazione in cui una forza politica nell’ambito dell’Ue possa non gradire una riforma economica o di sistema fatta in uno Stato membro. Gli basterebbe definire quella riforma - sui media o dinanzi all’Europarlamento - una violazione dello stato di diritto per aprire la strada all’esclusione dalla ripartizione dei fondi europei».

Signor primo ministro, per evitare tutto ciò, basta rispettare i principi basilari su cui si fonda la Ue. In sintesi lo stato di diritto, non crede? Il suo Paese fra l’altro ha già una procedura avviata secondo l’Articolo 7...

«Ha fatto bene a citare l’articolo 7, perché è proprio esso che serve a verificare il rispetto dei valori da parte di uno stato membro dell’Unione. La soluzione proposta nel regolamento invece lo aggira».

 

Non teme che l’intransigenza polacca e ungherese rischi di portare allo sfaldamento dell’Unione europea?

«Sono lontano dall’immaginare la fine dell’Ue. Credo invece che la nostra comunità si trovi oggi davanti a una grande sfida, un test di solidarietà e responsabilità europea. Spero che riusciremo a trovare una soluzione per questa crisi, perché ci guida lo stesso obiettivo: aiutare i nostri cittadini. Dall’Unione europea, cioè dai paesi membri riuniti sotto la stessa bandiera, dipende se gli europei ritroveranno la fiducia nel futuro».

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