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Lettera dell’ambasciatore Anna Maria Anders sul quotidiano “La Stampa”

27.11.2020

“Recovery. Ecco perché la Polonia dice no”: questo é il titolo della lettera dell’ambasciatore Anna Maria Anders pubblicata il 27 novembre sul quotidiano torinese “La Stampa”. Qui il testo integrale.

lettera

Caro Direttore,

facendo riferimento al suo editoriale di domenica e alle accuse da Lei mosse contro il governo polacco in relazione al veto sul bilancio dell'UE e al Recovery Fund, vorrei richiamare l'attenzione sul fatto che la posizione polacca in questa materia era nota già a luglio. Fin dall'inizio la Polonia aveva sottolineato che avrebbe sostenuto l'approccio a pacchetto. L'elemento chiave, il meccanismo di condizionalità dello stato di diritto, non ha riscosso l'approvazione di tutti gli Stati membri, tra cui la Polonia. Il Consiglio europeo di luglio non ha espresso il proprio sostegno alla proposta di regolamento presentata dalla Commissione. Sulla sua base giuridica sono stati sollevati seri dubbi, anche da parte dei Servizi giuridici del Consiglio. Mi sembra che il pubblico, compreso quello italiano, non sia stato adeguatamente informato sulle decisioni del vertice di luglio. Da allora, la Polonia non ha cambiato la sua posizione. Se mai, la tempesta mediatica a cui oggi assistiamo sarebbe dovuta scoppiare allora.

Nonostante la mancanza di consenso del Consiglio europeo, la presidenza tedesca ha portato avanti i negoziati con il Parlamento europeo, consapevole delle obiezioni di alcuni Stati. L'effetto dei negoziati non era in linea con i trattati e neanche con le conclusioni del vertice di luglio. Suscita in particolare preocupazione la possibilità di un'adozione discrezionale delle misure. Il termine ambiguo "grave rischio di incidere sulla sana gestione finanziaria (…) del bilancio dell'Unione" come premessa per l'attivazione del meccanismo indica la possibilità di prendere decisioni motivate politicamente. Oggi verso la Polonia e l'Ungheria, presto verso altri. La Polonia ha motivi per avere una fiducia limitata nell'imparzialità delle istituzioni dell'UE. Riteniamo pertanto che i regolamenti debbano essere molto precisi, in maniera da non consentire abusi.

L'UE da anni conferma che la Polonia gestisce e spende i fondi comunitari in maniera corretta e affidabile. Siamo efficienti, le frodi sono marginali e vengono adeguatamente perseguite. Sebbene non siano state individuate infrazioni, la Commissione potrebbe affermare che esiste il rischio che esse possano sorgere in futuro e, solo su questa base, avviare la procedura per togliere i fondi alla Polonia. Sarebbe per noi irrazionale concordare sul fatto di non bloccare il pacchetto di bilancio, consentendo in tal modo alla Commissione di avviare, subito dopo la sua adozione, una procedura arbitraria di blocco, e questa volta solo contro di noi.

La controversia tra Varsavia e Bruxelles sullo stato di diritto riguarda sostanzialmente il funzionamento del sitema giuridico. La Polonia aveva giustificati dubbi sull'imparzialità della Commissione nel corso del procedimento in relazione alla procedura avviata in base all’art. 7 TEU ( la Commissione ha emesso, tra l'altro, più volte pareri senza attendere una risposta da Varsavia). La procedura nei riguardi della Polonia non si è conclusa. Siamo contrari alla duplicazione dei meccanismi, tanto più che il nuovo meccanismo proposto dalla Commissione europea viola il trattato che richiede chiaramente l'unanimità per constatare una violazione dello stato di diritto. La proposta di regolamento introduce la maggioranza qualificata, consentendo così una decisione parziale che non tiene conto delle opinioni di tutti i paesi. Lo stato di diritto non consiste nel creare regolamenti che di fatto eludono i trattati.

La Polonia (e l'Ungheria) è attualmente oggetto di critiche in molti paesi dell'UE. Questa campagna dimostra che non si sta cercando di trovare un compromesso con noi. Se non saremo d'accordo, verremo esclusi dalle trattative. Il compromesso è importante, ma se due paesi sono in disaccordo per motivi legittimi, allora si ritiene che i due possano essere sacrificati. Sembra che sia già stato emesso un verdetto. Nel frattempo, nessuno sta cercando di verificare se ciò che diciamo ha senso. Numerose dichiarazioni di politici in tutta l'UE mostrano chiaramente che lo scopo del meccanismo non è proteggere lo stato di diritto, ma attaccare la Polonia e l'Ungheria. Diversi politici importanti non nascondono queste intenzioni. Ne è esempio la dichiarazione del vicepresidente del Parlamento europeo, che ha esplicitamente dichiarato l'intenzione di far morire di fame Ungheria e Polonia. Dichiarazione che non ha portato a nessuna conseguenze per lei, il che significa che questa posizione è condivisa da molti politici a Bruxelles.

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